Pasolini e gli «alba pratalia»

Nel febbraio 1962, di ritorno da un viaggio in Africa, Pier Paolo Pasolini compone una lunga poesia intitolata La Guinea. È un testo in movimento, nel tempo e nello spazio, che mette a confronto l’Italia del «patto industriale» con quella umile e contadina rappresentata da Casarola (il paese dell’Appennino caro all’amico Attilio Bertolucci), ma anche con il vitale e drammatico Terzo Mondo il cui nome simbolico è appunto la Guinea. Verso la fine Pasolini evoca tre volte di seguito gli «alba pratalia» dell’indovinello veronese, quasi una formula magica che lo porta a risvegliarsi, un mattino, nell’Italia medievale, quella dei «bianchi prati / del Comune… della Diocesi».

Raccolto nel volume Poesia in forma di rosa, il componimento si può anche ascoltare, in parte, dalla voce di Pasolini, che lo registrò, in quello stesso anno, negli studi della Rca, in una versione non ancora definitiva. È un modo per ricordare il poeta in questo 2025, nel quale ricorre il cinquantesimo anniversario della sua tragica morte; e per ripensare, attraverso l’immagine degli «alba pratalia», all’Italia che aveva imparato ad amare negli anni della sua giovinezza: «Odore di terra romanza, di area marginale. Sulla dolcezza dell’Italia moderna c’è come il rigido, fresco riflesso di un’Italia alpestre dal sapore neolatino ancora stupendamente recente» (Il Friuli, 1953).

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